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Kima

Mi aveva lasciato qualche settimana prima del Kima, un amore ribelle che non avevo mai accettato, anni di tira e molla tra concerti sgangherati, circoli arci, alcool, sigarette mal arrotolate, casino interiore totale e viaggi senza ritorno. Era un vortice sconclusionato, fatto di rivoluzioni e voglia di sovvertire il sistema, di far sentire la mia voce, di non essere un puntino nel pensiero comune ridimensionato ad una semplice etichetta. Avevo bisogno di spazio, di respirare, di andare oltre a questi muri possenti che comprimevano le mie giornate nella basse Valle, ma quello che in fondo vedevo come un ostacolo si stava trasformando in uno spazio di espressione interiore, uno spazio di libertà assoluta, dove non ci sono classi sociali, dove non ci sono imposizioni, dove non ci sono strade e tutto è scandito con il ritmo naturale del tempo e delle stagioni.
Tutto cambiò, e non ne ero nemmeno consapevole, il riverbero delle luci dei locali notturni diventò sempre più lontano, il frastuono dei concerti fino a notte fonda sempre più silenzioso e l’odore del fumo sempre più flebile. Forse in fondo quello che avevo sempre visto come voglia di evasione era in realtà inclusione, una non consapevolezza di appartenere ad una dimensione che va oltre alla nostra volontà. Mi aveva lasciato, avevo il cuore lacerato, e per la prima volta mi sentii solo al mondo, in un mondo in cui nessuno mi poteva sentire, in un mondo in cui ero l’unico a soffrire e nessuno poteva comprendere il mio turbamento.
Erano i primi giorni di agosto, e quello che prima pensavo fosse indipendenza si trasformo in dipendenza, dipendenza di presenza, di affetto di conforto e confronto. La ricorsi per mezza Toscana, in quella vacanza che avremmo dovuto fare tutti assieme, la rincorsi con quelle gambe forte e possenti che avevo scolpito nell’ultimo anno a correre su e giù per i monti, rincorrendo un amore che in fondo non era il mio, ormai i weekend uscivo sempre alle 4 a.m mentre lei rientrava e l’unica cosa che ci univa era l’essere sfatti nello stesso letto la domenica pomeriggio, lei per la serata trascorsa io per le mie scorribande sui monti. Erano 3 settimane che ormai non correvo, avevo un vuoto interiore che non riuscivo a colmare, non avevo voglia di correre, di uscire, di mangiare, non avevo voglia di nulla, ciondolavo facendo passare le giornate che mi sembravano interminabili, ma nonostante le 3 medie della sera prima, la non cena, le 2 ore di sonno aggrovigliate dai mille pensieri non riuscii a non a non resistere al “richiamo della foresta” : il KIMA è il KIMA.
[to be continued….]

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